Mentre la fede prende la forma di file dietro transenne a Piazzale del Verano per l’attesa di Padre Pio, ad Appio Latino, sotto una veranda abusiva ecletticamente costruita – plasticone bianco spesso, plasticone trasparente, struttura un po’ legno un po’ mattoni e toppe di scotch-, tre signori si fermano a pranzo. Volete accomodarvi in veranda? Oltre a prodigi tipo San Pietro dal buco della serratura, ci sono questi altri spazi di Roma che non t’aspetti. Nascondigli dalle forme irregolari ricavati con un abusivismo certosino, invisibili dall’esterno, incredibilmente spaziosi all’interno. Inesauribili fonti di romanità. L’altro giorno in ospedale è venuta Katia, la moglie de Ascanio del Grande Fratello. Non te dico er panico che s’è creato/ Ma chi? ‘A principessa? /Ma no, mica è principessa!/ Ao, Ascanio è conte!/ Vabbè, Katia. Nun sai quant’è bella.
Pare che nella zona si concentrino botteghe di artigiani, pellicciai, esperti del pellame e del cuoio. Ci sono parecchi punti ristoro. Mi raccontano di due cinesi che ne gestiscono uno. Si sono specializzate in cucina romana e, a quanto dice il signor G. che lavora il cuoio, fanno una pasta e fagioli sublime. Il signor G. è concentratissimo, stira pezzi di pelle di pitone rosso e appiattisce le squame, ha le mani lunghe con delle unghie invidiabili. Si entra nel suo laboratorio che puzza di naftalina. Prima di arrivare da lui, infatti, c’è un deposito di abiti per produzioni cinematografiche. Pile di scarpe, carrellate di vestiti, occhiali, borse, stock di paradisi vintage scrupolosamente catalogati col pennarello.
Al Verano, intanto, due ragazzine aspettano il bus. Una deve essere fuori sede. Andiamo al Carnevale liberato a Poggio Mirteto?/ Ma Poggio Mirteto è un paese?/ Quindi è famoso? Com’è che non lo conoscevo? Poi, una delle due tira fuori iPhone. C’hai le foto pure al cesso! Non t’ho capito bene.. Eri hippy però tipo Polly Anna? Oh, comunque eri na fica spaventosa.
Intanto Padre Pio dal Verano è arrivato a Piazza San Salvatore in Lauro, a metà di Via dei Coronari. Per il Giubileo, prima di arrivare a San Pietro, le spoglie del Santo rimangono lì. Una processione, poi, le porta alla meta finale. Il centro storico è completamente collassato perché due giorni prima un corto circuito ha bruciato tutto all’altezza di Chiesa Nuova. Il risultato è che non c’è più il WiFi a casa mia. Ho quindi sospeso le due, tre chiamate settimanali con i centralinisti Fastweb per i mille intoppi dell’abbonamento. Fingo che internet non esita. È meraviglioso.
A Via di Panico incrocio per qualche frazione di secondo la teca di vetro con Padre Pio. Nei momenti immediatamente precedenti la piazza s’era riempita prima di silenzio, poi di qualche urla, poi solo rumore di foto. Pare che la sera prima, tra la folla sia partito qualche spintarella per guadagnare posizioni e guardare di più. A via del Banco di Santo Spirito la teca passerà proprio davanti a Mary, la portiera sarta congolese che rifà l’orlo ai pantaloni in due metri quadri di androne e che pretende grande puntualità nel ritiro dei vestiti. Ti perdona solo per problemi di salute. Finalmente Santo Spirito, una delle vie giubilari, dopo mesi di lavoro per l’allargamento dei marciapiedi ha visto i pellegrini. Al loro posto, fino ad oggi, su quei sanpietrini nuovi si sono visti più che altro auto e motorini. La strada è uno strano caso di autogestione della mobilità: non è né pedonale né è aperta al traffico. Ci sono delle transenne e te le sposti come e quando ti pare. Funziona così, mi dicono i commercianti. Ma è pedonale o no? Non lo sanno nemmeno loro – i vigili – , dicono che mo decidono. E i residenti sono incazzatissimi.
In questi giorni di pellegrinaggi e attese mi sposto in taxi a Roma con un cameraman mezzo giapponese, mezzo francese. Ogni tanto mi dice Je me suis fait arnaqué, che vuol dire che s’è fatto fregare dal tassista. Che poi era successo pure qui, e qui e qui. È rassegnato. Alle ricevute dei taxi col logo del Comune di Roma, ogni tanto, ci sono quelle con la scritta Night club. Lui chiede a me, perso. I misteri di Roma. Abbiamo attraversato la Casilina con Amando amando, messaggiato insieme al tassinaro numero due, rischiato un botto micidiale a Corso Francia – guarda ste vecchie, oh –, riattraversato Marconi e Ostiense con Tiziano Ferro, un po’ della Pausini, Vaffanculo di Masini. Viale Trastevere dura il tempo di Baratto di Renato Zero. Trastevere su un taxi muto, col freddo, il sole, i coriandoli e un temerario che mangia il gelato a San Calisto.
Allora? Padre Pio sì o Padre Pio no? Lo chiede la proprietaria di un baretto a un trans a via Galvani. Ridiamo tutti, beviamo tè e il cameraman chiede un po’ dei taxi, un po’ di Padre Pio. Tra attese varie e dieci quartieri in sette giorni, la settimana finisce. Siamo passati da Vigna Stelluti all’Acrobax mentre il tassametro correva veloce, velocissimo. A San Lorenzo il franco giapponese si ritrova sempre. E pure a San Luigi dei Francesi, davanti quella profumeria dove il commesso chiama tutti Tesoro, senza distinzioni di sesso e d’età. Mi piaceva questo elastico con i capelli finti ma lo vorrei con le treccioline, non si può fare nulla?/ Al momento no, Tesoro.
Dopo due anni finalmente la Fontana di Trevi è tutta per lui. In una volta sola il franco giapponese ha visto Padre Pio e pure la Fontana scartata. L’ha desiderata due anni. Ora dice che è troppo bianca. Bisogna aspettare un po’ di smog. Un mese, altri due anni? E niente, quel capolavoro di luce ridotto a un’altra infinita attesa..
Da sto caldo non se n’esce. Al terzo giorno di freddo vero romano, forse il primo vero dall’inverno 2016, la domenica pomeriggio un tipo entra in un bar sbuffando. Sudaticcio si toglie il secondo maglione. Damme na Corona col limone va. Da sto caldo non se n’esce, vero piccolè? E brinda verso la carrozzina del figlio. Insoddisfatto quanto il franco giapponese per la Fontana troppo bianca.