Roma mi è sembrata ordinatissima. Città che segna il confine entro il quale la cintura di sicurezza è obbligatoria e non un impaccio. Ho lasciato gli amici franco giapponesi in uno dei diecimila hotel che inondano la Stazione Termini. Ci sono rimasti due notti. Il dettaglio delle mani della Creazione d’Adamo della Cappella Sistina di Michelangelo, quelle due mani che quasi si toccano, si impone per dimensione e presenze in svariate hall di hotel e bar nei pressi di Termini –ne ho sbirciato giusto qualcuno-, quasi quanto i kebabbari o i negozietti di chincaglierie turistiche e non. Io dirotto per casa mia.
Piove. I franco giapponesi si chiedono se sia il tempo di Roma; vorrei spostare quel grigiore. Questo non è il cielo di Roma, è il cielo di Milano, ve lo giuro! Continua a piovere. Li confondo con una gricia di sana trattoria romana. A Roma ci accoglie Giolitti. Mi emoziona pure un po’ fare le riprese lì perché quel gelato mi piace da morire; vedere come si monta la panna in diretta ha un valore tutto particolare, che cambierà per sempre il mio status di cliente da Giolitti. Mi sento una privilegiata della panna ora.
Aggirarsi con una telecamera a Fontana di Trevi nel pomeriggio è qualcosa di fastidiosissimo, se la batte con la passeggiata a spinta sul Ponte Vecchio a Firenze. Non che io abbia una telecamera, ma seguire un cameraman che ce l’ha tra la pipinara -la calca, la ressa di turisti-ti fa sentire come quando non si riesce a superare a piedi un lento che cammina mentre si vorrebbe schizzare via come il vento. Tra le mille cose che non ho ancora fatto a Roma è vedere Fontana di Trevi di notte. Dopo l’impatto dell’altro giorno, con quella folla che guasta un po’ tutto il marmo del monumento, quelle mezze spallate per passare, per vedere, per fotografare, ecco dopo quel giorno vedere la Fontana deserta è diventata una priorità.
Mangio i sapori di casa. Torno alle mie cose per due giorni, e Roma mi sembra calma, statica, di una maestosità impressionante. Mi sembra pure pulita e ben curata. Mi chiedo se sia suggestione. Il tramonto da Ponte Umberto I, all’altezza di Via Zanardelli, lo vedo filtrato dal profilo dei pini lontani e da San Pietro. Restiamo tutti immobili: loro riprendono, i turisti restano composti, io respiro Roma. Il sole scompare e per un momento tutto diventa d’oro.