A sedici anni ho comprato il dvd di C’eravamo tanto amati. Credo di aver obbligato più di una persona a riguardarlo con me, tipo il fidanzato del liceo o quegli amici di classe persi tra vocabolari di greco e macchinette Aixam. Guardavo un po’ il film un po’ le loro facce, se non si emozionavano era la fine. Piangevo sempre lì, davanti alla scuola a Garbatella, dove Luciana/la Sandrelli e Gianni/Gassman un tempo così innamorati – e dunque da innamorati si va in bici in due ridendo all’Aventino senza sapere che presto tutto finirà, pensavo – si rincontrano dopo anni. Con quegli occhi riempiti di cose passate, la sorpresa, il ricordo e l’indifferenza – forse era meglio non vedersi più? -. Stavo lì e guardare quell’incontro di storie di vita e famiglie e più o meno felicità e non capivo. Ci rimanevo male e mi sfuggiva tutto. Del film, di Luciana e Gianni, dei miei sedici anni. E piangevo. Ma io ti amavo/Ah sì, bè io credevo di no/Come, come no? E anche dopo.. Io per tutti questi anni non ho fatto altro che pensare a te, sempre Luciana/Eh ma io no/Ah.
Ma come?
Ma sai io pensavo che un grande amore fosse un grande amore/Sì certo, ma ormai erano cose passate.
Con Scola imparavo a piangere per i film che non fossero Muccino mentre mio padre tentava di farmi appassionare a Fragole e sangue. Eh ma Come te nessuno mai è più bello, gli dicevo. Forse imparavo pure a guardare Roma e la gente, con Scola. Se non altro ci pensavo. I palazzinari, l’amore, l’impegno politico, i soldi, le scelte, la lealtà, la famiglia, la convenienza, il compromesso per vivere bene, vivacchiare, sopravvivere. L’amicizia, il rimpianto, la diversità, gli ideali. L’amore anche quando non basta, la delusione, la solitudine, le illusioni. Compravo il mio primo Castoro “Ettore Scola” alla libreria Altroquando. Esisteva solo quella di cinema quando avevo sedici anni. Più che comprare libri sfogliavo le locandine di film, ma vabè. Otto euro e mezzo senza sapere che poi mi sarei iscritta a Lettere e che tra quei 90 crediti micro frantumati in esami da 4 cfu, avrei potuto studiare un po’ cinema. Poi però Scola non me lo fece studiare nessuno. Allora me lo guardavo da sola facendomi guidare un po’ dal Castoro. Delle lezioni di cinema mi resta solo l’Aula 1 della Sapienza in realtà, e il suo marmo verde.
Dal primo dvd di C’eravamo tanto amati Piazza della Consolazione m’è rimasta tra i posti di Roma da vedere e rivedere e rivedere. Scola da ragazzina m’è servito come agli adolescenti che si sono formati tra assemblee e autogestioni. Io mi vergognavo troppo, partecipavo zitta, con poco trasporto, tanto non parlavo. Mi vergognavo pure ad arrivare a scuola in bici tanto ero scema. E dentro Scola invece mi ci buttavo. Scoprivo, mi stupivo, ci ripensavo, lo riguardavo in cassetta e in dvd. Me lo scaricavo, pure.
Così l’altro giorno, in una di quelle giornate romane pulite che esci col cappotto e poi te lo tieni in mano dal caldo, quando l’aria è di quell’azzurro particolare – l’intensità si misura passando da Circo Massimo. Quando è di quell’azzurro che piace a me si capisce subito, perché c’ha quel modo diverso di stagliarsi dalle rovine -. Insomma, l’altro giorno, – Oh ma che giornata incredibile, che sole, è l’inizio delle telefonate del romano al romano in queste particolari condizioni metereologiche – sono andata a Piazza della Consolazione. C’eravamo tanto amati per me è quella piazza. Da lì parte quello spicchio di Roma illuminata che poi prosegue in via di San Teodoro, via dei Cerchi e con un salto sopra Circo Massimo sale su verso l’Aventino. Questa resta la più romantica e dolce delle passeggiate romane. E io quando la faccio partire da lì penso sempre un po’ a Scola. E pure all’infanzia, alle traversate con mio padre casa/scuola la mattina e scuola/casa con mia madre il pomeriggio, sballottati dentro una Mini verde bottiglia. I colori di piazza della Consolazione, quelli di San Teodoro, la salita del Roseto comunale, e Santa Sabina e il Giardino degli Aranci e Sant’Alessio e la scuola Badini con la ludoteca e riscendere giù a Testaccio a nuoto e accompagnare mia madre al mercato e il maritozzo con la panna di Zì Elena e il ritorno col bus 23 con mia nonna. Che mi sembrava super esotico e veniva premiato con due meringhe succhiate alla fermata del 23. Ecco, in qualsiasi punto di questo spicchio illuminato di Roma, da piazza della Consolazione fino a qualsiasi angolo X dell’Aventino, io penso a tutto questo. E pure un po’ a Scola.
A Piazza della consolazione non c’è mai gran via vai. La facciata bianca della Chiesa invade tutto. La sfida solo un gabbiano che non vola ma cammina sulle scale, sul muretto. Io per lui sono inesistente, lui fa quello che deve fare. A sinistra c’è la Rupe Tarpea e ci scendono in fila precisi i turisti. Quasi tutti giapponesi. Più in là, il retro dei Fori, lì dove c’è il balcone del Sindaco. Verso mezzogiorno un signore seduto sul muretto mangia un quadratone di pizza e Peroni. Poi quel Re della mezza porzione dove Gassman, Manfredi e Satta Flores cenavano è rimasto un ristorante. Sul menù, oggi, ci sono le foto della Loren. Nella piazza è pieno di tassinari.
Prima di passare alla Casa del Cinema a salutare il regista in un’affollatissima camera ardente, mi sono fermata a viale XXI aprile. Lì ho cercato il civico 29 e sono entrata. Il complesso di palazzine di Una giornata particolare, Palazzo Federici, sta accanto ad un Carrefour gigante. E al Momart, quell’accumulatore di aperitivi e funghi che scaldano e piumini in fila d’inverno. Sono entrata nel cortile. Mi ero ripromessa di cercare più volte sto palazzone non l’avevo mai fatto. Mi ci sono fermata un po’. C’è una palma mezza secca davanti. Uno è entrato con un cane. M’ha guardato, l’ho guardato e sono entrata pur’io. Poi sono andata alla Casa del cinema. C’erano Giannini e Risi e pure Paolini che stava lì a fare il Paolini. Villa Borghese era calda col prato scintillante. Dentro scorrevano le immagini dei film di Scola. Mi sono seduta lì davanti e ho avuto sedici anni. “Ettore si diverte moltissimo” c’era scritto sotto un disegno col viso del regista, firmato “Con tanto amore, Paolo Virzì”.
Io e te dobbiamo parlare..
Parliamo
Quando, dove?
Ripensandoci, io e te non abbiamo più parlato…!