Italia a Pezzi. Viaggio dal Sud al Nord

Quasi Grotta Azzurra

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Blue grotto? Blue grotto? Blue grotto? Un’unica ossessiva, fissa, puntuale domanda. Ogni mattina, alla stessa ora, il turista giapponese chiede alla receptionist di non importa quale albergo di Capri se potrà vedere la Grotta Azzurra.

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Il viaggio in Italia diventa tale solo una volta oltrepassata quella linea di mare che da nera diventa blu. Quando l’occhio all’inizio insoddisfatto poi si abitua al colore blu elettrico. Solo una volta oltrepassata la soglia sdraiati nel barchino, col terrore di prendersi la parete in faccia, coi marinai che si danno la spinta afferrando la catena sul lato destro della roccia, il turista giapponese metabolizza Capri e l’Italia. Solo così tutto torna al proprio posto.

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L’acqua della Grotta Azzurra non è paragonabile ai cieli intensi d’Italia, non al verde di Capri, quando si alzano gli occhi e i profili dei pini si illuminano tra le rocce, immense. Quando il grecale combatte contro il turismo dei giapponesi dediti alla sola Grotta Azzurra è un casino. E allora si aspetta. L’Isola si ferma e tutti sanno se il vento e la marea permetteranno alla receptionist di dire Oggi sì.

Così, quando dopo il quinto giorno di chiusura al giapponese viene detto sì, di buon’ora questi si fa lasciare lì, su quelle scalette. Aspetta di entrare, si mette in fila, è presto. Il barista del locale arroccato sul mare prepara bicchieri di acini d’uva. Il turista uscito dalla grotta ne comprerà uno, gli si bucherà lo stomaco e forse avrà la nausea.

L’Isola è pronta per quel momento che si ripete centinaia di volte l’anno, sempre uguale. Stessi turisti, stesso entusiasmo, stessa tensione. Stessa routine, la paura, sdraiati sul fondo del barchino, la parete quasi in faccia o forse no, la spinta data dalla catena. Il blu che cambia. La carovana delle barchette appare da dietro gli scogli e il giapponese è in subbuglio; la dimensione delle mini imbarcazioni lo spaventa un po’ ma lui è piccolo e sa che dentro ci starà benissimo. Aspetta ancora, non è il suo turno. Le dimensioni ridotte delle scale non permettono di superare. E intanto i primi ospiti salgono. Sui resti incrostati di gelato rimasti sui gradini della scaletta sorvegliano vespe. Il sonno permette solo gesti goffi e lenti per allontanarle.

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Poi d’improvviso è il mio turno. Entro. Stessa scenetta coi marinai. Mi appiattisco giù, la marea ancora c’è e l’acqua ancora un po’ alta rende bassissimo l’ingresso alla porta. Cazzo non avevo pensato potesse essere così basso. Il marinaio segue le indicazioni del capo che sorveglia sulla scaletta. Dopo tre tentativi falliti e tre onde troppo alte siamo dentro. L’aria è calda. Il blu sembra nero all’inizio. Troppe aspettative forse. Il marinaio l’avrà spiegato milioni di volte che Aspetta, l’occhio mo’ s’abitua. In un caos di barchette 10, 15, tutto si riempie. I turisti impazziti, i marinai che cantano, ognuno per il proprio equipaggio. Forse più le canzoni napoletane sono urlate, più mance sono. Il mio timoniere non canta e mi parla del passaggio segreto nella roccia da cui l’imperatore Tiberio scendeva giù.  Mi racconta delle statue ritrovate e ormai, quasi un’ora dopo, mi gira la testa. Provo a immaginare Tiberio lì. Non ci riesco. Vorrei uscire pure se l’occhio è completamente abituato al blu elettrico – forse il troppo blu annulla i pensieri- e le orecchie alle grida dei turisti e marinai.

Finalmente usciamo. Al posto dei bicchieri d’uva scelgo una pesca. Me la portano in una ciotola con l’acqua e non capisco perché non l’hanno lavata loro. La mangio e minuti dopo, sulle curve del taxi, quasi vomito. Intanto sulle scale, accanto a quel gelato incrostato, la vespa ha punto un turista giapponese qualunque. Uno di quelli che ha tartassato la receptionist per cinque giorni. Domani ripartirà e per colpa di una cazzo di vespa non vedrà mai la Grotta. La proprietaria dell’hotel dove alloggia, nata e cresciuta ad Anacapri, soffrirà più di lui nel sapere che No, la Grotta oggi no.

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