Italia a Pezzi. Viaggio dal Sud al Nord

Pausa Roma al Sud: curve di Palinuro e Maratea, verso la Calabria che brilla. PARTE DUE

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Se non avete letto la PARTE UNO, eccola qua

E dimmi, com’era questo Palinuro? Non era molto sveglio perché s’è addormentato mentre doveva vigilare, è caduto ed è morto. Mentre ci parla del nocchiere d’Enea che ha dato il nome al mare dove va da quando è bambino, l’amico-collega M. ci porta tra i gigli marini della spiaggia, in uno di quei rari Lidi – inizio a pensare che solo noi romani li chiamiamo stabilimenti- fatti solo di sabbia, quasi per nulla costruiti, con le incannucciate e il pavimento di legno, la musica che non è Hit parade 2014.

IMG_1607Abituati a dividerci Roma e la scuola di giornalismo, ora siamo piazzati davanti a un tramonto, in Cilento. Tra la piccola folla che guarda verso il sole pensando a chissà cosa, c’è sempre qualche ragazzino che noncurante di tutto continua le attività giornaliere a riva. Lì davanti c’è quell’attimo in cui se sei innamorato guardi e sospiri, se sei confusamente innamorato guardi e sospiri e se non sei innamorato guardi e sospiri. Loro corrono.

IMG_1692La notte di San Lorenzo è il paesetto di Centola, dove c’è “Viandando” e un super tributo a Lucio Battisti. Delle canzoni più note solo medley interrotti sul più bello. Pezzi di infanzia, di amicizie adolescenti e amori. In cambio di una decina di ticket da un euro e cinquanta, ci ritroviamo cariche di bicchierini di vino rosso, pizze fritte col pomodoro, salsicce e melanzane cucinatissime. Finiamo in prima fila, in una Piazza di passeggini, gelati e famiglie che aspettano il loro Battisti. Una professoressa scatenatissima balla con noi, con un marito parcheggiato su panchina fino a fine serata. Il cantante ci invita a guardare i suoi video su youtube, intanto nell’eseguire le canzoni è accompagnato da una band e – facendo il vago- dai cd di Battisti di sottofondo. Il risultato è un casino acustico. Noi siamo contentissime lo stesso; un ragazzino balla sotto la struttura del palco ma nessuno se ne cura. Io e l’amica trentina ci guardiamo perplesse. Pare che la soglia del pericolo, talvolta, sia chissà dove qua. Un tipo si ritrova la macchina bloccata da un’altra mal parcheggiata, e all’annuncio al microfono che dista 7 metri da lui preferisce richiamare l’attenzione con il clacson molesto. Il concerto finisce con quei 6 minuti lunghi di peeeeeeeeeeeee. Anche questo resterà uno dei misteri del Cilento. Al terzo giorno di colazioni altrove, scopriamo nel nostro campeggio di Caprioli dell’esistenza di un bar. Pensavamo fosse così hippie da non averne. Così davanti al cappuccino più buono della vacanza facciamo amicizia con la cameriera rumena; l’accento vagamente napoletano si mescola con i nostri. Nel caldo d’agosto parliamo della Transilvania e dell’inverno.

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10403415_10152296173726149_718794150689850460_nLe rocce si fanno più alte e più aspre, il verde più intenso, le curve sempre le stesse. A guardare in su sembra montagna, giù c’è un costa blu meraviglia. In qualche ora siamo in Basilicata. Io e la milanese abbiamo le piante dei piedi completamente rosse per le scarpe che stingono. Nei paesi che attraversiamo riconosciamo le immagini di Maria e di Santi che campeggiano un po’ dappertutto e quelle decorazioni di luci che nel loro folklore mettono allegria. Me ne ero innamorata già in SiciliaMaratea la vediamo al volo, quanto basta per notarne i dettagli. Mi piacciono i pezzetti di maioliche che decorano con precisione qualche marciapiede o parete, la giusta quantità di rosa pallido dei palazzi, le agavi sparse prima di arrivare al porto che al tramonto si scalda e diffonde arancione fino a lassù, dov’è la statua del Cristo Redentore, mentre il mare è quasi d’oro. La Spiaggia nera dall’alto è costellata di piccoli tondi colorati: gli ombrelloni che proteggono dai sassolini capaci di infuocare i piedi; ci buttiamo nell’azzurro di quel mare trasparente; passiamo alla stazione e lasciamo l’amica trentina. IMG_1743“I treni da Salerno in su saranno sostituiti da pullman”. L’annuncio ci fa sbiancare ma alla fine anche la trentina ha avuto il suo sedile in treno. Ci lascia una torcia e la perplessità nel pensare all’asfalto “rotto” del Cilento e al sapore del caffè. Il ritorno ce lo facciamo al buio con un cd mix italiano che non ricordavo di avere, capace di rinfrescare le solite amate canzoni della vacanza. Urliamo Pablo è vivo in mezzo alle curve di rocce e risaliamo verso Pisciotta. Ce l’aveva detto la cameriera rumena del campeggio di andare per la festa del paese. Nel suo Viaggio nel Mezzogiorno la racconta anche Ungaretti, che fece il nostro viaggio on the road tra l’aprile e il maggio ‘32:

Pisciotta si svolge in tre fasce su una parete: la più alta è il vecchio paese di case gravi e brune e a grandi arcate; in mezzo sono ulivi sparsi come pecore a frotte; la terza, a livello dell’acqua, la formano case nuove e leggere i cui muri sembrano torniti dall’aria in peristili. 

IMG_1817Eccola Pisciotta: ci accoglie con delle luci, come tutte quelle appese nelle altre cittadine incrociate, particolarmente al neon. La piazza è strapiena, si è appena esibito un tizio che va a Zelig che mi fa venire il prurito e due vincitori di Amici. Ci godiamo un po’ il caos e finiamo in una piazzetta a cena, tranquilla. La cittadina si aggiunge ai borghi medievali visti, dove tira forte il vento ma si respira sempre l’aria del mare che arriva fredda da là sotto. Qui, insieme al vento, aleggia l’odore acre di motore che resta acceso per alimentare qualche stand più in là, forse i gonfiabili. Siamo ancora vestite da Maratea più qualsiasi cosa che avevamo i  macchina: i famosi teli/parei e un k way orrendo. Un cane e un gatto si rincorrono mentre i clienti mangiano paste di pesce al cartoccio- bisognerebbe bandire la panna chef dai menù di pesce-, facendomi sussultare a ogni attacco. La milanese animalista è contenta e la tovaglia rossa sulle gambe ci fa da coperta. Il giorno dopo, senza più compagne di viaggio, scendo a Marina di Pisciotta: riesco finalmente a fare il morto a galla. Lascio che l’acqua mi entri nelle orecchie, poi giuro che mi impegnerò a toglierla per bene combattendo contro l’otite. Quasi svengo dal caldo, con quel cappello di paglia in testa. Mi lavo a pezzi in una fontanella per strada e poi torno alla stazione.

10612802_10152301691321149_5193269148464014832_nRiparto verso la punta della Calabria, stavolta insieme all’ amica L. I suoi posti del cuore e di infanzia me li ha raccontati sparsi quest’anno. Mi manca di scoprirne le radici a Villa San Giovanni. La Salerno Reggio Calabria è andata liscia che è una meraviglia. Dallo scorso anno, quando con una macchina carica di romane ci imbarcammo sulla nave Caronte verso Catania, sono cambiate dieci milioni di cose, tra cui l’ultimo tratto di autostrada. Lo ripercorro con l’anno che fu in testa, per poi scoprire di essermi fermata nello stesso autogrill dell’agosto 2013, rimasto fermo agli anni ’70. In un attimo mi trovo in un vortice di ospitalità dall’accento che sa di siciliano. Quella barca con quella specie di gru è la spadara, ce ne sono pochissime, queste sono le correnti dello Stretto di Messina, quelli sono i piloni, il siciliano di Torre Faro e il traliccio calabrese di Santa Trada; qui ci siamo sposati, quella è Ganzirri, qui ci abita la maestra Anna; là è dove vanno le coppiette la sera, qua c’è la granita più buona della Calabria, là un tempo c’era un’arena e io ero come il ragazzino di Nuovo Cinema Paradiso, da quel giardino vengono i pomodori, le melanzane, le pannocchie, quello è l’unico bar di Cannitello che fa lo spumone.

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Le voci di parenti e amici di L. si accavallano per cinque giorni, mentre dal gommone osservo la Sicilia, sgranocchio pannocchie che al Carrefour di Roma non trovo mai. Guardo davanti e vedo il profilo della terra vicinissima, il mare e quel pilone. Ogni tanto, con il vento perpetuo che passa in casa tra balconi e finestre, capace di cullare, ripenso ai profili a cui l’occhio si è per un po’ abituato. I tetti coi comignoli parigini e il cielo possente, che sembra sempre più sconfinato del cielo romano -il più bello del mondo, è chiaro- , i profili asettici di Manhattan, la Bruxelles a zig zag dei villini di mattone. Assaggio i sapori nuovi dei pomodori, rubo cucchiaini di granita, addento fichi dolcissimi e sorrido nel vedere quanto la vita romana sia diversa dalla vita di Villa. Per adesso la mia certezza è quel poster di Eugenio Bennato che mi osserva dall’alto, piazzato sulla parete sopra il letto dell’amica L. che per Pausa Roma al Sud è diventato il mio. 10568994_10152299831546149_7002190797766065321_nCannitello, con le casette spaventosamente costruite a pochi metri dalla riva, sulla sabbia, e poi Scilla prepotentemente arroccata e Chianalea che sembra un presepe sul mare con le sue casette affascinanti quanto mezze diroccate. Il sole scompare mentre siamo sedute in uno di quei bar su palafitte, con le barchette che sembrano giocattoli tutto intorno e un panino al pesce spada in mano.IMG_1980 La ritualità delle tradizioni, come il San Rocco in famiglia, il pranzo tutti insieme, tra prelibatezze e pure un capretto. Così, a Ferragosto, mi ritrovo adottata da quella compagnia calabrese a Favazzina, dove le onde sbattono forti sui sassi. Pranziamo sotto un’incannucciata decorata di bandierine color pastello.

Bronzi di Riace ci appaiono così, di lato. Le cosce perfette, prima ancora del viso – mi chiedo ancora perché sia stato scelto quell’allestimento-. A Reggio Calabria passeggiamo sul lungomare, – con in testa il racconto di come il sindaco dal ’93 al 2001, Italo Falcomatà, fece rifiorire Reggio-. Poi vedo che proprio su quel “Lungomare Falcomatà” l’ex Arena dello Stretto è stata intitolata “Anfiteatro Senatore Ciccio Franco” da Scopelliti nel 2006.

 

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10402002_10152305657566149_3421720970307107694_nI nasi della gente sono puntati tutti lì, verso quella spadara a un palmo dal mare e dal capannello di gente attorno. I fiori la illuminano, dietro un tramonto coloratissimo. Sono pronta per la Madonna a mare: me ne parlano da giorni, in uno di quei racconti da favola che mi rendono tutto incredibilmente nuovo e affascinante. Mi tolgo le scarpe e vado a riva per guardare lo sforzo sovraumano di marinai e pescatori per trascinare la barca in mare: sopra, la statua della Madonna di Porto Salvo. C’è pure il Vescovo e centinaia di facce puntate a mare. La spadara va, illuminata dalle lucine colorate da albero di Natale. Resto a guardare come una bambina davanti alla prima Befana. IMG_2053Guarda il Vescovo come si tiene fittu.      La Calabria la saluto così, con in testa i colori cangianti del mare, e di quelli che sfuamano del tramonto; i suoni della banda, il sudore di quei marinai, il fucsia della tonaca del Vescovo, i botti dei fuochi. E poi, finalmente, lo spumone -che sembra un po’ la torta di Giolitti, più calabrese-. Me la faccio tutta d’un soffio quella Salerno Reggio Calabria. Unica sosta per una fila a Borgo Laino e pranzo al sacco a Sala Consilina, finora autogrill più brutto mai visto. L’acqua è tra il caffellatte e la Cocacola, dice una signora nella spiaggia libera da dove scrivo ora, in un mare diverso da quello calabrese. Del mio viaggio giù mi resta sempre l’immagine di quel poster di Bennato sopra la mia testa, nella camera della cara amica L. che appese quand’era diciottenne. C’è scritto Grande Sud.

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