Domenica scorsa, dopo aver scoperto che in una trattoria in Via La Spezia il piatto del giorno è la pasta e fagioli, nonostante i 30 gradi dell’asfalto mescolati al silenzio assordante dei cantieri della Metro C, sono andata a pedalare un po’ sul Tevere.C’è un artista molto famoso, sudafricano, si chiama William Kentridge e a Roma vorrebbe realizzare un bel progetto: 90 figure giganti pescate dalla mitologia e dalla storia della Capitale disegnate sui muraglioni del Tevere, nel tratto che va da Ponte Sisto a Ponte Mazzini. Triumphs and Laments si dovrebbe chiamare questa sfilata di stencil enormi. Nessuna vernice tossica, nessuna pittura permanente: si spruzzano sulle sagome delle figure getti di vapore acqueo. Così i contorni diventano chiari, ripuliti dallo strato di smog che rende neri i muraglioni, e i personaggi scuri possono emergere dalle pareti.
Una cosa bella per Roma, quindi. Ideata da Tevereterno, l’associazione che Kristin Jones, artista americana, ha fondato nel 2004 con lo scopo di proporre progetti artistici degni di una capitale europea. Se ne parla da un anno di queste figure che non riescono a nascere.. A novembre Kentridge realizza i primi due personaggi sulle sponde del fiume, all’altezza di Ponte Margherita. Poi arriva la Soprintendenza e blocca tutto. Me lo raccontano due volontarie architette e giovanissime di Tevereterno che domenica organizzavano un bel tour alla scoperta del fiume.. Me li vado a vedere da sola i due unici abitanti dei muraglioni. E mi ricordo di un sacco di cose di fiumi europei e oltre Oceano. Mi ricordo di quando, da aprile in poi, non appena si affaccia un pezzetto di sole, i parigini si riversano sui quai, i tanti lungo Senna che diventano strade, piazze per i cittadini. Li avevo conosciuti perché da lì si osserva Parigi alzando gli occhi. Ci si balla il tango, ci si suona, ci si leggono i libri. Ci si beve su, ci si chiacchiera. Da Pont des Arts, al prato sulla punta dell’Ile de la Cité, fino ad arrivare ai giardini sul fiume, davanti l’Istituit du Monde Arabe.
Mentre ripensavo a questo, col sapore del camentbert e della baguette intinta nelle scatolette di hummus del Leader Price – ciao ciao amici Erasmus- , mi chiedevo se Roma potrà mai trasformare il suo bel Biondo Tevere in una Senna super popolata, calpestata, pedalata, vissuta – più bici e più pedoni insomma – . Anche un pochino prima dell’arrivo delle bancarelle. Così, mentre mezza Roma stava incollata ai televisori divisa tra la smania del pallone e scontri vari ed eventuali, un gruppetto di fiumaroli, dopo aver passeggiato o a piedi o in bici, si sedeva su seggioline rosse leggere a sentire una giovane biondina americana cantare. Mi è sembrata un po’ Parigi. Ad organizzare all’interno di Open House, una due giorni dedicata a un sacco di iniziative artistiche architettoniche e non solo, era sempre Tevereterno. Mentre mi perdevo in quella Roma/Parigi mi dispiaceva un po’ per tutti quegli sportivi che dall’indomani avrebbero provato anche loro l’ebrezza di tante domeniche apatiche e inutili, senza il brivido del calcio d’inizio, l’emozione nel vedere il Capitano, le urla della Curva ecc ecc ecc ecc ecc ecc.
A Parigi, lungo la Senna, ho assaggiato il mio primo foie gras – che non mi è piaciuto, ma sono affari miei – in una fiera della gastronomia della Francia del Sud davanti Notre Dame. JR, artista francese che fa meravigliosi progetti di street art, una volta ha giocato a ricoprire ponti della Senna con enormi foto di occhi di donna per un effetto veramente suggestivo. A cosa serve? A guardare. A New York ho visto film a palate lungo il fiume, proiettati su maxi schermi vista Hudson – guardare The Big Chill lì resta tra i miei ricordi più belli -, su plaid americani, sedendomi tra un cartone di piazza e acini d’uva sparsi. Sono inciampata su audaci tappetini da yoga per vere e belle/i newyorkesi e sono finita su gradoni per partecipare a letture pubbliche di questo o quel libro. I bambini giocavano respirando l’aria non della tv. I genitori trovavano il modo di respirare anche loro, forse. C’erano pure i mercatini vintage… Dai, un mercatino vintage a Roma che non abbia i prezzi del Mercato Monti… No è?
Allora domenica mi chiedevo cosa possiamo farne di questo Tevere. Sta lì, fermo. A febbraio è diventato beige. S’è alzato, ha fatto incagliare barconi ballerini. L’altro giorno il sole pallido lo faceva un po’ triste. Se ne stava calmo, là. Al posto dell’acqua, ai lati del letto, c’era la terra che solo a tradimento sembrava solida, in realtà ci si affondava un po’ vischiosa com’era. Senza la musica proveniente dalla tromba di un musicista su questo o quell’altro ponte, osservavo sui muraglioni direzione Ponte Milvio dei pannelli sgangherati. Joyce, Pasolini, Tolstoy, Palazzeschi, Dante, Goldoni. Teche con le loro parole dedicate al Tevere, incastrate dietro vetri spaccati, tra residui di pennarelli e erbacce indisciplinate. Si leggeva giusto Regione Lazio. Due quarantenni coraggiose si sono avvicinate a Dante ma poi sono tornate indietro. Più avanti, su un anello d’acciaio incastonato nel muro c’era attaccato con lo scotch un bigliettino. AVE MARIA c’era scritto. Alzando lo sguardo rivedevo Ponte Sant’Angelo che settimane fa, all’occorrenza, era diventato ricovero per pellegrini in una San Pietro che scoppiava di fedeli. Non l’avevo mai visto così, né il Ponte, né la Piazza, né Via della Conciliazione. Mi ci ero intrufolata alle due di notte, facendomi largo tra l’estasi, i canti, le lacrime, le preghiere e le copie del Messaggero che in poco tempo avevano sostituito i sampietrini a terra.
Ora aspettiamo l’estate e la musica a palla con le luci al neon e i panini un po’ di plastica. Nei triangoli d’erba dell’Isola Tiberina ho visto gente sdraiata come a Parigi su quella puntina di Ile de la Cité. A Roma chi lo guarda ‘sto Tevere? Servirebbe un film da Oscar, che se ne occupasse, ricordandocelo. Ora, anche solo per un pezzetto, se ne poteva occupare un artista sudafricano..In una Capitale europea sarebbe stato tutto un fermento. Qua, il nulla. In caso di vuoto ripenso ai tempi prima della Pausa Roma.. Quando saltellavo altrove, anche in riva ai fiumi.
Pier Paolo Pasolini, da Alì dagli occhi azzurri, Squarci di notti romane
Migliaia di strumenti a percussione respiravano, gemevano e ridevano, dietro le incrostazioni azzurre, lilla, del paesaggio romano, dietro le vedute urbane intense come aiuole che si coagulano sotto il Pincio o il Gianicolo, verso orizzionti da scavi o vuolcani, dietro scorci barocchi, trotuosi, unti e marmorei, dietro le file di piante periferiche profumate di cocci e i giardinetti bruni di salnitro e di solitudine, dietro le curve celesti di un Tevere nazionale e festivo; e tra i sospiri, i richiami, le risa – ora vicini, ora vertiginosamente lontani, in altri quartieri ancora più felici – i giovani romani ancora adolescenti camminavano per i lungoteveri, ridendo, con nelle guancie il vento vivo della sera.