Premessa: nessuna verità su Roma o dintorni sarà svelata. Ma fingiamo che sia tutto vero.
Lo dicono tutti, prima o poi. Ti va se ci prendiamo un caffè? Detto a Parigi ha un significato diverso, che comprende il sedersi in un Café. Nella terrasse, quei tavolini piccoli come sottobicchieri rendono i parigini tanto felici, perfino d’inverno, racchiusi sotto una cupola di celofan anti pioggia tra i fumi di decine di sigarette. Figurarsi d’estate. A Roma il Ti va se ci prendiamo un caffè? ha tutto un altro sapore. Il tempo si dilata davanti al caffè. E’ il caffè solido del bar, quello acquoso della moca delle nonne. Il caffè al vetro invece resta un mistero. Indipendentemente dalle manie dei popoli riguardo le sue modalità di consumo, il caffè è sempre il momento della condivisione, della leggerezza.
Al Pigneto. Ti aspetto al Bar Rosi. Mi aspetti? Sì t’aspetto. Vuoi mangiare qualcosa? No. Ero stanca e affamata. Quella giacca rossa addosso non gliel’avevo mai vista. Pensavo di essere distrutta dal dolore. E tu ridevi da matto, con gli occhiali da sole addosso, guardavi un po’ nel vuoto e la cosa mi faceva incazzare. Poi però se mi guardavi con quegli occhi da scemo preferivo guardassi nel vuoto. Il caffè faceva schifo, avevo l’acidità di stomaco. Prima di andare via m’hai baciato il dorso della mano. Mi era sembrato romanticissimo. Era aprile di una manciata d’anni fa. Non ci vedremo mai più! ho urlato. Ci siamo sentiti e rivisti per tutta la manciata d’anni dopo. Non voglio vederti mai più! Ho ridetto dopo un po’ di tempo davanti a un altro caffè, in un altro bar. In realtà vorrei che tu fossi altro. Più intelligente, più sveglio, più pieno, più calmo. Potresti essere altro? E’?! Prima di dar fiato a queste cazzate bisognerebbe aspettare la manciata di anni, mi dico adesso. Quando torno al Bar Rosi sorrido. Un giorno solo ho pianto, così, per sport. Alla radio, tornando in macchina, passavano soltanto canzoni penose, col ricordo di quel caffè di merda in bocca.
Seduta al tavolino di alluminio leggero una signora chiede ad un’altra romana in trasferta in Toscana per il fine settimana settembrino, di poter leggere il suo giornale. No, Emma è rimasta a Roma, viene domenica prossima.. Piove sotto il tendone del bar in Piazza. Soltanto qualche mosca e l’umidità disturbano. Per il resto Saturnia è calma. Una maratona e l’arco gonfiabile che ne segna il traguardo la movimenta un po’. La donna finisce il caffè e sfila una pagina del Corriere. Se la nasconde dietro la schiena, sotto la felpa della domenica. Non la vede nessuno. Saluta e va via. Ma che è? I primi maratoneti arrivano, la pioggia continua. Due ragazzi escono dal bar mangiando gelato alle undici. Pensavo il gelato la mattina si mangiasse solo in Sicilia. Io bevo il caffè ma vorrei rubare a mia volta quella paginetta dalla schiena della mamma di Emma..
La Facoltà di San Pietro in Vincoli è chiusa a tradimento.Ti va se ci prendiamo un caffè? Non resta che studiare al baretto della vecchietta.. Al Colle Oppio è pomeriggio e fa ancora caldo. Le conversazioni si confondono di tavolo in tavolo.
-Ma che c’hai? Ti vedo incazzata…-La verità, la verità è che non c’è più rispetto.. So’ proprio svilita ‘sti giorni. Perché poi finisce pure che te mannano a fanculo e nun te salutano nemmeno la mattina. Ma ‘ndo sta scritto? Mio cognato, in barca, faceva la lotta coi fiji , se mannavano a fanculo e poi amici come prima. Lui il buono e io la cattiva. Ao facevano le 2 de notte davanti ar falò, facevano. Così te credo che t’entossichi la vacanza».-E’ giusto.
Anche a Via Panisperna si beve.
-E’ chiaro che quella non ce voleva stà! Se metteva a letto co’ uno che puzzava de morto.-Ah.
Si paga il conto, le sedie si sollevano e non fanno nemmeno troppo rumore. Una passata di straccio umido sul tavolo, pronto per un nuovo scambio, leggero, di idee.